Non è certamente la prima volta che si sente parlare di ebola e, stando a quanto indicato e dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, difficilmente sarà l’ultima per ora. Il virus, che ha imperversato dal 2014 al 2016, causando più di 11mila morti, ed è tornato in auge nella stagione del 2018, attraverso nuove migliaia di morti e contagiati, è tornata a colpire la popolazione africana. Se negli scorsi mesi l’OMS aveva rifiutato di dichiarare lo stato di emergenza internazionale, il caso di una nuova epidemia in Congo ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a ritornare sui suoi passi, a causa di un rischio non più ponderato.
Nonostante la nuova epidemia, non è certamente la prima volta che si sente parlare di ebola in Italia e in Europa, benché la malattia riguardi essenzialmente il territorio africano. Quando si parla di Ebola è bene intendere, più nello specifico, malattia del virus Ebola (Evd) o febbre emorragica. Nonostante sia stata scoperta negli anni settanta, il suo picco di contagi è morti c’è stato soltanto negli ultimi anni, con la popolazione africana che è stata bersagliata a partire dal 2014.
Nel triennio 2014-2016 prima, nell’estate del 2018 poi e, infine, attraverso la nuova epidemia in Congo che sta bersagliando la popolazione africana nel 2019, è possibile trarre un dato piuttosto tragico: generalmente la malattia porta a una mortalità che si attesta intorno al 50% ma, in alcune realtà e soprattutto negli ultimi anni, i picchi raggiunti hanno sfiorato il tragico 90%.
Benché la malattia abbia conosciuto un nuovo, preoccupante, picco negli ultimi mesi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità si era rifiutata di dichiarare lo stato di emergenza internazionale, attirando le critiche di molti addetti ai lavori. L’ultimo preoccupante caso, però, ha portato l’Oms a prendere delle misure di sicurezza: la malattia è arrivata nella prima grande città congolese, Goma (che contiene circa due milioni di abitanti ed è ai confini con il Ruanda), causando – di riflesso – la preoccupazione del vicino stato africano.
Con lo stato di emergenza internazionale i cambiamenti non saranno drastici, anche se andranno a scontrarsi con le decisioni prese dalle autorità locali, spesso ostili alle direttive OMS: la dichiarazione prevede, infatti, una mutua collaborazione tra gli esponenti medici dell’Organizzazione e le autorità locali. Il Ruanda, però, ha già cercato di limitare i trasferimenti verso il Congo, se non strettamente necessari, pur non avendo bloccato ufficialmente i trasporti ferroviari.
La nuova epidemia in Congo ha portato il virus ebola a svilupparsi attraverso il suo terzo grande ciclo, che sta bersagliando particolarmente il vasto paese africano. Gli ultimi focolai, che hanno portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a dichiarare lo stato di emergenza, sono stati significativamente negativi per il paese, che ha visto aumentare i casi di contagi e morti per febbre emorragica.
Sono 2500 le persone contagiate in totale dall’ebola in Congo, di cui 1665 hanno trovato alla morte. Gli ultimissimi casi hanno portato a 22 casi sospetti, tra cui quello di un uomo a Goma. Si tratta della prima grande città coinvolta.
Repentino il cambio di ideologia e impostazione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha deciso di dichiarare lo stato di emergenza internazionale in merito alla nuova epidemia di ebola che ha colpito il continente africano. L’OMS si è espressa attraverso le parole di Robert Steffen, direttore del Comitato che ha giustificato la scelta dell’Organizzazione stessa.
“La dichiarazione è una misura che riconosce il possibile aumento del rischio nazionale e regionale, e il bisogno di una azione coordinata e intensificata per gestirlo”, ha spiegato Steffen. L’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva avuto l’opportunità di anticipare questa dichiarazione a giugno, quando i casi di contagio erano tutt’altro che pochi ma, nonostante la preoccupazione, l’epidemia “non costituisce un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”, aveva spiegato il Comitato.
“È tempo che il mondo prenda coscienza e raddoppi gli sforzi. Dobbiamo lavorare insieme in solidarietà con il Congo per mettere fine all’epidemia e costruire un sistema sanitario migliore. Un lavoro straordinario è stato fatto per quasi un anno nelle circostanze più difficili. Dobbiamo a questi operatori un contributo maggiore”, ha concluso Steffen, dichiarando anche che bloccare trasporti, viaggi o transito merci è una misura che avviene solo se non si ha la conoscenza della scienza e del progresso medico e tecnologico.
Come se non bastasse l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche l’Unicef ha contribuito a intensificare la preoccupazione riguardante il rischio concreto di morti da virus ebola. Ad essere stati approfonditi sono stati, essenzialmente, dati riguardanti la mortalità infantile.
Secondo l’Unicef, in Congo sono stati contagiati – nel 31% dei casi totali – bambini (750 in totali), di cui il 40% di età inferiore a 5 anni. Marixie Mercado, portavoce Unicef, ha dichiarato che l’epidemia “sta contagiando un maggior numero di bambini rispetto alle precedenti. Al 7 luglio, si erano verificati 750 contagi fra i bambini. Questo numero rappresenta il 31% del totale dei casi, rispetto a circa il 20% nelle epidemie precedenti. I bambini piccoli, con meno di 5 anni, sono particolarmente colpiti e a loro volta stanno contagiando le donne. Fra gli adulti, le donne rappresentano il 57% dei casi”
L’emergenza non riguarda, naturalmente, soltanto quei casi di contagio e morte, ma anche quei casi di bambini che sono rimasti orfani a causa della morte dei genitori. Per questi ultimi, ha spiegato Mercado, è essenziale ogni misura di sicurezza possibile, che possa portare a superare la malattia e il dolore.
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