Covid: uno degli effetti collaterali più persistenti, ecco cosa succede al nostro corpo
Sempre più pazienti che sono stati colpiti dal Covid, lamentano alcuni effetti collaterali anche a diversi mesi dopo la guarigione.
Questo di recente è stato condotto uno studio per fare luce sul problema di alcuni sintomi in relazione all’infezione da coronavirus.
La perdita dell’olfatto è stato tra i sintomi più accennati all’inizio della pandemia da coronavirus, pur tenendo presente che si tratta di un disturbo che può essere definito transitorio – dal momento che i pazienti pian piano recupero la capacità di sentire gli odori con il naso.
Nonostante però in più occasioni abbiamo sentito parlare del fatto che questo sintomo tende rientrare, alcuni pazienti a distanza di mesi accusano ancora questa problematica (definita dagli esperti anosmia). Proprio per questo un recente studio ha cercato di fare luce su questo punto esaminando le componenti che si trovano all’interno del naso e cercando di rassicurare i soggetti affetti ancora oggi dal disturbo.
Anosmia provocata dal Covid, perché tende a persistere dopo mesi dalla guarigione
Sono diversi dunque i pazienti oggi guariti dal Covid che a distanza di diversi mesi lamentano ancora la perdita dell’olfatto, detta anosmia, motivo per cui un gruppo di ricercatori della Duke university in associazione con l’Harvard medicaal School e l’Università di San Diego hanno deciso di condurre uno studio sul motivo per cui questo disturbo persiste anche dopo la guarigione completa.
Gruppo, guidato da John Finlay, a preso come campione le biopsie degli epiteli olfattivi di ben 24 pazienti – compresi nove in cui la perdita dell’olfatto si è prolungata per diversi mesi. Analizzando bene i risultati, gli autori sono giunti alla conclusione che l’anosmia potrebbe essere collegata alle perturbazioni nelle cellule immunitarie presenti nel naso, che sono sensibili anche all’olfatto.
Nel caso dei pazienti con anosmia persistenti infatti sono stati riscontrati meno neuroni olfattivi sensibili all’olfatto e, ma soprattutto mostravano marcate differenze con le cellule immunitarie locali. Inoltre nei campioni raccolti si riscontrava anche un livello insolitamente basso di macrofagi M2 associati ad un alto tasso di cellule dendridiche CD207+ e un consistente aumento di cellule T che provocavano cellule infiammatorie.
Base di questi valori, hanno spiegato gli autori della ricerca, sembra che ci sia una combinazione molto particolare di fattori legati alla manifestazione di una risposta antinfiammatoria piuttosto anomala. Nonostante ciò però, e sebbene i primi risultati siano interessanti, lo studio dovrà proseguire per chiarire i motivi per cui la conformazione delle cellule immunitarie possa provocare anosmia.