Mani raggrinzite dopo averle tenuto ammollo: ecco la verità sul sintomo
Le mani si raggrinziscono con la loro tenuta a mollo. Ma vi siete mai chiesti il perché? Certo, da bambini in molti si son sentiti dare una certa spiegazione, ma non è proprio così. Vediamone i particolari.
Mettere le mani a mollo fa comparire sui palmi delle mani una superficie tutta raggrinzita, composta da piccole rughe. Ma proprio quelle rughe fanno sì da svolgere una funzione particolare. Da bambini ci veniva spesso detto di uscire dall’acqua perché la pelle non sopportava oltre il bagno che stava durando da tanto.
Storicamente, la prima teoria scientifica è consistita nello scambio d’acqua fra l’interno e l’esterno dell’organismo, ma la medesima è poi stata scartata. La considerazione esatta parte da uno studio degli anni ’30. Scopriamone di più.
Mani raggrinzite e la funzione svolta
Gli scienziati, nell’indagare il fenomeno negli anni ’30 appunto, avevano rilevato che il medesimo non accadeva in soggetti che avevano riportato danneggiamenti a livello neuronale. Da lì la deduzione che potesse trattarsi di una vera e propria funzionalità.
Si tratta di una vera e propria utilità, quella offerta dall’organismo, poiché consente di afferrare oggetti bagnati saldamente. Con ciò intendendosi come se sia le mani che gli oggetti in questione siano asciutti. L’ipotesi è venuta fuori col passare degli anni, ma è stata confermata scientificamente soltanto nel 2013. Si pensava che, col subentrare dell’acqua, in cui il corpo è immerso, il corpo stesso maturasse una reazione per afferrare gli oggetti.
Avere cioè una presa salda in tutto l’ambiente circostante. Questo può fare la differenza per la sopravvivenza, in determinate occasioni. Non a caso potremmo trovarci a fare un bagno in mare, ma potremmo altresì trovarci in uno stato di pericolo se siamo immersi in acqua e dunque avere necessità, nell’immediato, di aggrapparci a qualcosa.
Nel 2013 lo studio di conferma è stato condotto dall’Università di Newcastle, in Regno Unito. Lo studio, seppur confermando l’ipotesi principale, non ha indagato su come si svolge il relativo processo, a quel momento ancora ignoto. Tramite uno studio svoltosi più di recente e pubblicato sul giornale scientifico “Brain, Behaviour and Evolution” si è scoperto che non è una risposta passiva a quanto rilevato nell’ambiente, ma che si tratta di un processo attivo.
Si è riscontrato altresì, nel corso del medesimo studio, che la sensibilità al tatto non diminuisce, e che non c’è tanta differenza nella capacità di afferrare saldamente gli oggetti, poiché il nostro corpo sa adeguarsi alle condizioni che trova e sa mantenere la forza necessaria per garantire la presa.