Un importante studio annuncia finalmente la svolta nella lotta contro la perdita di memoria provocata dall’Alzheimer.
Una terapia insolita potrebbe essere enormemente d’aiuto nel contrastare la malattia definita dagli esperti “la ladra di ricordi”.
Ad oggi purtroppo l’Alzheimer rientra tra le malattie che non hanno ancora una cura definitiva. I ricercatori sono però ogni giorno al lavoro sull’analisi di questa patologia per continuare a studiare meglio i suoi meccanismi.
Proprio questo modus operandi ha permesso loro di trovare una nuova e incredibile terapia che potrebbe permettere di prevenire la sua insorgenza nei soggetti femminili. Vediamo di cosa si tratta e com’è stato condotto lo studio.
Quando si ha a che fare con l’Alzheimer purtroppo si può parlare di terapie che possono rallentare la sua progressione – come il farmaco che ha recentemente ottenuto il via libera accelerato – ma mai di una cura definitiva. Sono stati fatti però passi da gigante anche in tema di prevenzione, come dimostrano gli ultimi risultati ottenuti dalla University of East Anglia e recentemente pubblicato sulla rivista Alzheimer’s Research & Therapy.
I ricercatori hanno dimostrato che la terapia ormonale sostitutiva – utilizzata per ridurre i disturbi manifestati durante la menopausa – sarebbero da associare ad un miglioramento della memoria e dunque ad un rischio minore di insorgenza dell’Alzheimer. Per confermare questa ipotesi il team ha studiato i dati di ben 1.178 donne che hanno aderito ad un’iniziativa per la prevenzione della demenza.
Analizzando i dati hanno scoperto che nelle portatrici del gene APOE4, che aumenta il rischio di sviluppare la su menzionata patologia neurodegenerativa, con la terapia ormonale sostitutiva non solo migliorava la memoria ma si poteva notare anche un volume cerebrale maggiore.
Ovviamente i risultati sono stati più promettenti nel caso in cui la terapia era stata introdotta precocemente – ovvero durante il periodo della perimenopausa. Al momento dunque si dovrà procedere con ulteriori studi, ma è evidente che questa scoperta potrebbe portare lo studio della patologia piuttosto avanti, dal momento che – come anticipato – una volta manifestata purtroppo c’è ben poco da fare.
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