Arriva finalmente una buona notizie in merito ai farmaci e alle terapie, in Italia arriva una cura per l’emofilia B.
Ad oggi purtroppo ci sono moltissime malattie per cui si hanno ancora grandi difficoltà in merito ai trattamenti – soprattutto quando si ha a che fare con patologie rare o con pazienti che presentano una particolare resistenza ai farmaci.
Una simile situazione si ha purtroppo nel caso dell’emofilia B, una malattia piuttosto rara per cui ad oggi l’unica terapia valida è quella sostitutiva che però purtroppo ha bisogno di controlli e somministrazioni piuttosto frequenti.
Quantomeno nel nostro paese però arrivano ottime notizie, ovvero una cura decisamente più efficace per il trattamento di questa patologia; vediamo di cosa si tratta e quali sono gli obiettivi dei ricercatori.
L’emofilia è una particolare patologia, piuttosto rara, congenita ed ereditaria causata dal deficit di determinate proteine che favoriscono la coagulazione del sangue. I pazienti affetti da questa malattia, dunque, corrono il costante rischio di manifestazione di emorragie sia spontanee che post-traumatiche.
A sua volta l’emofilia si distingue in A – nel caso in cui ad essere assente è il fattore VIII della coagulazione – e la B, che si presenta invece a causa del deficit del fattore IX. Esistono inoltre diversi gradi di severità della patologia, dal momento che nella sua forma più grave le emorragie possono essere spontanee, mentre invece nella forma lieve è bene prestare attenzione soprattutto ai traumi anche leggeri. In genere colpisce maggiormente i soggetti di sesso maschile, mentre spesso le donne sono portatrici sane.
Come anticipato, ad oggi l’unica terapia possibile per mantenere sotto controllo la situazione in caso di emofilia è quella sostitutiva – che prevede dunque l’introduzione delle proteine che mancano al paziente affetto dalla patologia. Il problema che però questo percorso presenta è la frequenza con cui deve essere ripetuto il trattamento – ovvero con una media di circa 7-14 giorni.
Come spiegato però dalla dottoressa Rita Carlotta Santoro, al momento i ricercatori si sono posti l’obiettivo di mettere a punto un farmaco che richieda somministrazioni meno frequenti – riducendo anche i rischi per il paziente: “L’obiettivo è ottenere terapie che mantengano i livelli di attività del fattore IX per il maggior tempo possibile“; una situazione che si sta finalmente presentando grazie al Nonacog beta pegol, che ha una formulazione a rilascio prolungato che riesce a controllare meglio i sanguinamenti tra una somministrazione e l’altra.
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