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Variante indiana del coronavirus: cosa sappiamo

Si parla molto in questi giorni di una variante indiana del coronavirus. Questa variante del virus, che è stata denominata con la sigla B.1.617, è stata individuata nello Stato del Maharashtra, anche se in realtà non si sa con precisione il punto esatto in cui abbia avuto origine. Gli esperti spiegano che non è possibile stabilire con certezza se ci sia un collegamento tra questa variante del virus e la situazione così drammatica che si sta sperimentando proprio in India in questo periodo.

È una variante più pericolosa?

La cosiddetta variante indiana del coronavirus è stata individuata nel mese di ottobre scorso per la prima volta e deve essere monitorata con attenzione, anche perché si tratta di una variante del virus con due mutazioni sulla glicoproteina spike, che viene usata dal microrganismo per agganciarsi alle cellule.

Non ci sono attualmente delle evidenze che possano confermare una maggiore pericolosità di questa variante del virus, delle evidenze che possano avere la caratteristica di studi completi sull’argomento.

È evidente però che bisognerebbe fare attenzione a considerare tutti gli aspetti di questa variante, perché per la prima volta le due mutazioni in questione sono esistenti all’interno di un unico ceppo.

Cosa si sta facendo per studiare la variante indiana

Il ministro della Salute Roberto Speranza ha spiegato che gli esperti stanno già lavorando per effettuare degli studi e delle analisi su questa variante indiana del coronavirus.

In altri Paesi del mondo non sono ancora stati individuati molti casi di questa variante del virus. Una certa presenza di questa mutazione è stata segnalata nel Regno Unito, ma bisogna dire che questo Paese è quello che fornisce al sistema globale il maggior numero di informazioni sul genoma virale, grazie al potenziato sistema di sequenziamento che possiede.